
INTERVISTA A GONZALO SALCEDO (PARTE 3)
Terza parte dell’intervista a Gonzalo Salcedo, missionario peruviano della Comunità Missionaria di Villaregia.
- Com’è cambiata la tua fede da quando sei diventato missionario?
Più che da quando sono diventato missionario, penso che la mia fede sia cambiata nel momento in cui ho realmente incontrato Dio. Ero già cristiano, ma non praticante, anche se prendevo sempre bei voti in religione a scuola…
Quando, però, il Dio di cui avevo studiato e imparato alcune cose è diventato per me una presenza concreta, un Padre che mi vuole bene, allora la mia fede si è trasformata: è diventata viva, incarnata nei fratelli che incontravo e che incontro ogni giorno.
- Hai mai vissuto momenti di crisi spirituale sul campo?
I momenti di prova non sono mancati in tutti questi anni, soprattutto nei periodi di aridità, quando non percepivo la presenza di Dio nella mia vita. Non perché Lui non ci fosse, ma perché, a volte, ero io a essere distratto dalle tante cose da fare, incapace di riconoscere il Suo amore per me.
Forse questa risposta può sembrare astratta, ma credetemi, non lo è affatto… Per me, questa consapevolezza fa davvero la differenza.
- In che modo la tua esperienza missionaria ha arricchito la tua comprensione di Dio?
È proprio il verbo arricchire che vorrei utilizzare per rispondere a questa domanda., sono missionario da 17 anni e sono tante le esperienze che ho vissuto, tante le persone che ho incontrato, ma ogni persona mi ha donato una nuova sfaccettatura del volto di Dio. Le prime certezze che hanno cambiato la mia vita erano quelle di avere un dio Padre, un dio che è amore. In questi anni ho potuto comprendere che Dio è padre di tutti.
Dal 2019 vivo la mia missione insieme alla mia comunità, con fratelli e sorelle migranti e questo mi ha donato la comprensione di un Dio che è unità nella diversità; e mi ha insegnato che i muri che dividono nascono nei cuori delle persone che non hanno avuto la possibilità di conoscere altri popoli, altre culture.
- Qual è stato il momento in cui hai sentito più chiaramente la presenza di Dio?
Conoscendo i missionari di Villaregia, ho imparato ad apprezzare ogni incontro come un’opportunità privilegiata per contemplare Dio che ci viene incontro. Il mio cammino, però, è iniziato con una scoperta particolare: la presenza di Dio nell’Eucaristia, un Dio che si fa pane per noi. Successivamente, nella mia esperienza missionaria, ho visto questa stessa presenza riflessa nella fede del popolo peruviano: la semplicità e la profonda fiducia delle persone in Dio mi sono sempre state di esempio.
Queste esperienze hanno arricchito la mia comprensione di Dio, facendomi scoprire che Egli non è solo un’idea o una dottrina, ma una presenza viva che si dona nell’Eucaristia e si manifesta nella fede concreta delle persone. Ho scoperto un Dio vicino, che si lascia incontrare nel pane spezzato e nella vita condivisa con il popolo che mi accoglie.
- Quale versetto della Bibbia ti ha sostenuto nei momenti più difficili?
Il versetto che mi ha sempre sostenuto è senza dubbio quello del Salmo 125: ‘Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia.’ Tuttavia, devo ammettere che mi piace ancora di più la versione in spagnolo: ‘El Señor ha estado grande con nosotros, y estamos alegres.’ Trovo che in questa versione risuonino in modo speciale la gratitudine e la gioia per le meraviglie che Dio compie nella mia vita e nella missione.
- Quale pensi che sia l’impatto più significativo sulle persone che hai incontrato?
Domanda difficile, ma provo a rispondere ripensando ad alcune delle frasi che ho sentito dire in questi anni: ‘Sei un fratello’, ‘Grazie per il tuo sorriso’, ‘Grazie per ascoltarmi’, ‘Grazie per la tua gioia’. Alcune persone mi hanno detto parole molto forti, come: ‘Continua a fare quello che fai’ o ‘È stato il progetto più bello che abbia mai fatto’.
Da quando sono in Italia, credo che un aspetto che colpisce sia il fatto che non sono italiano. Non so quante persone di altre nazionalità portino avanti progetti nelle scuole, sicuramente tante, ma ho percepito che questo elemento non passa inosservato. Spero che possa essere significativo anche per loro. Alcuni insegnanti mi hanno detto che la mia presenza è un segnale positivo anche per i ragazzi migranti e figli di migranti, che da poco frequentano la scuola in Italia.
- Come misuri il successo della tua missione?
Sinceramente, non so bene come rispondere a questa domanda. Però, quando le scuole o gli insegnanti ci contattano per richiedere un progetto per la seconda volta, intuisco che la proposta sia valida e che abbia lasciato un segno.
Nella mia vita personale, però, credo che il vero successo si misuri a livello relazionale: più sento di costruire relazioni autentiche e profonde con le persone, più credo che la mia missione si sia compiuta.
- Hai mai visto cambiamenti duraturi nelle comunità in cui hai operato?
Non so se chiamarli veri e propri cambiamenti, ma quello che mi dà speranza è il coinvolgimento di tante persone volontarie nei diversi progetti che portiamo avanti. Quando vedo che si dedicano con fedeltà e costanza al servizio dei migranti, capisco che la proposta è valida e che non sto camminando da solo. Essere parte di una comunità è un dono grande.
Ad esempio, vedere le nostre volontarie del doposcuola #SOSteniamoCI a Budrio e notare come siano cresciute le relazioni con i ragazzi che lo frequentano, mi riempie il cuore. Lo stesso accade quando vedo le amicizie che nascono tra i nostri ospiti e i volontari che li visitano è… “Davvero tanta roba!”
- Se potessi dare un solo consiglio a chi vuole diventare missionario, quale sarebbe?
Se ce l’ho fatta io… ce la puoi fare anche tu! E non è uno scherzo. Credo che il consiglio più importante sia questo: essere sé stessi, ma allo stesso tempo uscire da sé per andare incontro all’altro… anzi, all’Altro.
- Come immagini il futuro della missione in un mondo sempre più globalizzato?
Immagino il futuro della missione in un mondo sempre più globalizzato come un’opportunità per vivere ancora di più la fraternità universale. Le distanze si accorciano, le culture si intrecciano, le sfide si fanno più complesse, ma il cuore della missione rimane lo stesso: essere testimoni dell’amore di Dio in ogni luogo e costruire ponti tra le persone.
Credo che la missione non consista tanto nel “portare qualcosa”, ma nel camminare insieme, nel creare spazi di incontro autentico, dove ognuno possa sentirsi riconosciuto e valorizzato. In un mondo che rischia di diventare sempre più individualista, la missione è chiamata a custodire e promuovere relazioni vere, che sappiano superare barriere culturali, religiose e sociali.
Vedo il futuro della missione come una chiamata a essere presenti là dove si costruisce il futuro dell’umanità: nelle periferie, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, negli spazi di accoglienza e dialogo. Più che mai, sarà una missione fatta di ascolto, condivisione e servizio reciproco.

La Redazione
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